Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981)

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Le idee totalitarie del fascismo, l’assolutismo, l’appiattimento dei valori umani, l’imposizione di determinate regole ed il completo disconoscimento della libera espressione di parola e di comportamento, causarono la ribellione di molti intelettuali, che vissero questo periodo in modo molto sofferto, sia interiormente che politicamente, pur astenendosi, nella maggior parte dei casi dalla militanza politica attiva. Tra questi spicca per acume, capacità ed impegno, Eugenio Montale.

Montale trascorre l’infanzia e la giovinezza nella città natale, dove il padre, uomo severo, educa il figlio in modo rigido. Frequenta le scuole tecniche, ottenendo nel 1915 il diploma di ragioniere. Prende intanto lezioni di canto, che interromperà alcuni anni più tardi, rinunciando ad una carriera di basso, ma continuando a nutrire una profonda passione per la musica, che gli sarà d’aiuto più tardi nella sua carriera di critico musicale.

Come letterato è piuttosto un autodidatta; studia per conto suo fino a 30 anni, ritirandosi spesso a Monterosso, nelle Cinque Terre, luoghi marini che saranno presenti nelle sue poesie e determineranno un tipico paesaggio pietroso ed arido, fatto di rocce arroventate e suolo riarso.

Nel 1917 viene chiamato sotto le armi come ufficiale di fanteria; finita la guerra ritorna a Genova, dove stringe rapporti con alcuni letterati. Impara lo spagnolo e l’inglese, che gli permetterà una profonda conoscenza della cultura americana;

S’interessa di filosofia, sentendo l’influenza di Bergson e poi degli esistenzialisti francesi.

Nel 1922 si trasferisce a Torino, e qui fonda la rivista “Primo tempo”, su cui pubblicherà le sue prime poesie.

Nel 1925 esce la raccolta di poesie “Ossi di seppia”, che segna uno dei punti capitali nella storia della poesia italiana del Novecento. Sempre nel 1925, Montale firma il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” redatto da Benedetto Croce. È l’espressione di un netto dissenso, civile e patriottico, nei confronti della dittatura, che vedrà Montale condurre un’esistenza schiva e appartata negli anni del fascismo; ma è anche la spia di un atteggiamento più generale, che anche in seguito terrà lontano il poeta da ogni forma di partecipazione e di militanza politica attive, considerate indifferenti ed estranee rispetto all’impegno intellettuale e poetico.

Pubblica poi sulla rivista milanese “L’esame”, “Omaggio a Italo Svevo”, che segnala per la prima volta in Italia l’importanza dello scrittore triestino, da cui nascerà un’affettuosa amicizia.

Nel 1927 si trasferisce a Firenze, lavorando dapprima presso una casa editrice e poi ottenendo il posto di direttore del Gabinetto letterario Vieusseux, incarico che ricoprirà fino al 1938, quando verrà allontanato perché non iscritto al Partito fascista.

Si lega strettamente agli scrittori antifascisti riuniti intorno alla rivista “Solaria” e al caffè delle “Giubbe rosse”. Il gruppo di Solaria era intenzionato a porre argine alle direttive del regime fascista (“Solariano” era diventato sinonimo di “antifascista”, “europeista”, “universalista”, “antitradizionalista”).

Nel 1939 esce la raccolta “le occasioni” presso Einaudi. Farà parte del CLN toscano e dopo la guerra si iscrive al Partito d’azione e svolge attività di giornalista politico.

Nel 1948 si trasferisce a Milano, assunto come redattore al “Corriere della Sera”, svolgendo le sue mansioni fino al 1973.

Nel 1956 esce la terza raccolta lirica, “La bufera e altro”: i temi sono la guerra, il dopoguerra, lo stalinismo e gli anni della guerra fredda, ma vi sono anche i segni della speranza.

La sua fama è ormai a livello internazionale; riceve lauree “ad honorem” dalle università di Roma, Milano, Cambridge, Basilea.

Nella raccolta “Satura”, uscita nel 1971, accanto alle poesie composte per la moglie morta, si trova il rifiuto dei miti e delle ideologie del presente, dei dati della civiltà di massa.

Nel 1967 viene nominato senatore a vita (gruppo liberale) e nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura, pronunciando verso l’Accademia di Svezia il discorso “È ancora possibile la letteratura?”.

 

LA POETICA E IL “MALE DI VIVERE”

Montale ha accompagnato la sua opera di poeta con una intensa meditazione critica sui caratteri di essa e sui suoi strumenti espressivi.

L’argomento della sua poesia è la condizione dell’uomo in sé considerata; non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo, significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale con il transitorio.

Montale non è stato fascista e non ha cantato il fascismo, ma neppure ha scritto poesie in cui quella pseudo – rivoluzione apparisse osteggiata.

Certo, sarebbe stato impossibile pubblicare poesie ostili al regime di allora. Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che lo circondava, la materia della sua ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.

Montale occupa, nella cultura del Novecento, un posto preminente come testimone profondo della crisi del nostro tempo e come interprete originalissimo, per la sua sensibilità e le sue soluzioni stilistiche, della condizione spirituale dell’uomo moderno.

Il suo carattere austero, il suo scetticismo, la sua dignità di uomo senza compromessi, lo hanno tenuto lontano dalla politica militante, estraneo tanto a Marx quanto a Cristo, senza mai porlo in posizioni reazionarie. Montale è stato il poeta di un secolo, la coscienza di un epoca.

La poesia di “Ossi di seppia” ebbe per le giovani generazioni un enorme significato, che probabilmente andava al di là delle intenzioni di Montale. La disperazione di Montale appariva congeniale a tutta una generazione senza mai presentarsi come una forma di evasione dalla realtà che la circondava. Egli dava voce alla profonda infelicità giovanile, ma li ammoniva a guardarla in faccia con coraggio e a non sperare consolazioni.

Quando Montale scriveva gli “Ossi di seppia” nel 1925 la guerra e l’esperienza drammatica del dopoguerra avevano mostrato quale crisi profonda attraversasse il paese: crisi avvertita particolarmente dai settori più consapevoli dei ceti intellettuali di estrazione borghese: la condizione umana appare assurda e soffocante, le antiche certezze sembrano crollate definitivamente; ci si sente privi di un ordine con cui dare un senso alla propria vita, e di una fede che possa consolare; si è perso ogni punto di riferimento: il mondo appare dominato dal male di vivere, da una profonda crisi psicologica ed esistenziale: è il male dell’essere, che ci impedisce di conoscere la realtà e noi stessi. Il male di vivere è incomunicabilità, isolamento, vita strozzata.

Il mondo del poeta è un mondo senza un filo di speranza, arida pietraia dove non cresce l’erba, una muraglia che “ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, situazione disperata che non ammette vie d’uscita: l’uomo non è che una scaglia infinitesima, osso di seppia (vita morta, oggetto prosciugato, condizione vegetativa, fossile).

La poesia trasmette una conoscenza in negativo: non si propone perciò di trasmettere certezze, valori; la parola non può squadrare da ogni lato un animo “informe”: può soltanto indicare al lettore “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”; bisogna avere il coraggio di partire da questi dati negativi. Montale rifiuta l’immagine tradizionale del “poeta vate”. Di fronte all’impossibilità di sciogliere il mistero della vita, Montale non può proporre una forma di conoscenza in negativo, priva di certezze e di ipotesi propositive, dovuta all’acuta coscienza del relativismo e della discontinuità che regolano le leggi dell’esistenza.

Montale si può considerare, in Italia, il primo grande scrittore contemporaneo portavoce di un pensiero negativo (possiamo conoscere solo il non essere), privo di ogni compensazione alternativa.

LA FUNZIONE DELLA POESIA

La poesia ha il compito di indagare questa condizione dell’uomo del novecento, assumendo il valore di una insostituibile “testimonianza”, e decifrare il mondo in cui viviamo (la poesia non è la conquista dell’assoluto, evasione dalla realtà ma forma di conoscenza).

I PROCEDIMENTI ESPRESSIVI – SCELTE FORMALI E SVILUPPI TEMATICI

La desolata visione della vita, la negatività che il poeta professa, intesa come rifiuto di qualsiasi verità precostituita e come amara coscienza del nonsenso del vivere, si riflette in un linguaggio scarno ed essenziale, in immagini desolate e squallide, in una musicalità disarmonica e stridente.

Montale non rifiuta il verso libero, ma concede ampio spazio ai metri tradizionali (endecasillabi, settenari)ed una musicalità molto personale, fatta anche di asprezze e raggiunta con un’attenta distribuzione di pause e accenti, una fusione insolita tra versi regolari e misure libere.

Egli opera una scelta plurilinguistica; lessico molto ampio che si estende dalla tradizione letteraria alle parole esatte della tecnica; lingua talvolta di parole pietrose; neologismi o vocaboli dialettali; rari o di derivazione straniera; registri quindi diversi.

Il linguaggio comune quindi può facilmente elevarsi, assimilando termini più rari e preziosi, talora squisitamente letterari. Montale polemizza nei confronti della poesia aulica che usa termini astratti e convenzionali, per indicare realtà generiche ed indeterminate.

POETICA DELLE COSE

In Ungaretti la parola si propone di esprimere sensazioni indefinite e indeterminate, accostando fra loro realtà antitetiche e lontanissime (analogia).

La parola di Montale, al contrario, non allude, ma indica con precisione oggetti definiti e concreti, stabilendo fra questi una trama di relazioni complesse.

Alla “poetica della parola” di Ungaretti si oppone la “poetica delle cose” di Montale. La scelta di Montale cade poi sulle “piccole cose”, sugli elementi di una realtà povera e comune che l’uomo può in ogni momento trovare intorno a se, soprattutto nella natura che gli è più familiare, ma Montale non guarda a questa natura con gli occhi ingenui e innocenti del “fanciullino” pascoliano. Gli oggetti, le immagini e le voci della natura diventano per lui emblemi in cui è trascritto, in forme oscure e cifrate, il destino dell’uomo, nelle sue rare gioie e speranze, ma soprattutto nell’infelicità di una condizione esistenziale che non può offrire certezze e illusioni.

IL CORRELATIVO OGGETTIVO

Montale non parla per astrazione, evita la psicologia dei sentimenti, ma parte sempre da un dato reale, da oggetti, che, in una precisa occasione, gli si offrono come segnali per interpretare la realtà: siamo alla ” poetica dell’oggetto”, ma dell’ “oggetto emblema”, che sostituisce lo stato d’animo e ne è l’equivalente.

Anche i concetti, i sentimenti più astratti trovano la loro definizione ed espressione (il loro corrispettivo, risultando così “correlati”) in “oggetti” ben definiti e concreti. Un esempio molto chiaro è offerto dalla poesia “Spesso il male di vivere ho incontrato”, in cui il “male di vivere” è presentato non in forma concettuale, ma come un incontro diretto, realmente accaduto lungo il percorso della vita, identificandosi in alcune presenze concrete (“il rivo strozzato”, “l’incartocciarsi della foglia”, “il cavallo strammazzato”), in cui viene tangibilmente rappresentato.

È una forma nuova, moderna di allegoria, nella misura in cui gli elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e morali.

La poesia delle “cose” in Montale è tutt’altro che semplice e lineare, ma risulta ardua, difficile, talora oscura nel tentativo di attribuire agli oggetti il compito di cogliere il senso indecifrabile dell’esistenza. Un medesimo termine contiene spesso una pluralità di significati.

Gli “Ossi di seppia” simboleggiano l’aridità dell’universo montaliano. In essi il paesaggio è arido e brullo, scavato dal sole, che ne rende quasi irreali i contorni, caricandoli di valenze metafisiche ed esistenziali. Da essi si può ricavare un sistema di oggetti che rimandano a significati esistenziali che ritorneranno nelle raccolte più tardi: orto e muro rimandano all’idea del limite esistenziale dell’uomo, all’esser prigionieri; mare e vento: infinito e forza rigeneratrice, purificatrice; varco: che si apra sul mistero della vita; salvezza.

La seconda raccolta, “Le occasioni”, approfondisce la tematica degli “Ossi di seppia”; i luoghi, le persone, le situazioni, le occasioni sono caricati di significati simbolici.

La lettura si complica, siamo di fronte a una poesia “cifrata”, allusiva; affiora l’ermetismo.

Al centro rimane la visione di un mondo in sfacelo, la coscienza della propria solitudine e del proprio destino umano. Sole amare consolazioni sono la memoria di determinati momenti del passato, o l’occasione, qualche rara occasione che come un amuleto permetta ancora di vivere. È il ritrovare il passato perduto, e con esso la vita degli affetti, per uno scatto improvviso del cuore, sollecitato da un fatto o da un oggetto che, in quel momento, si carica di forza redentrice; e per queste “occasioni” consolatrici la vita pare ancora possibile.

BRANI STUDIATI DURANTE L’ANNO SCOLASTICO

Da “Ossi di seppia”:

  • I limoni

  • Non chiederci la parola

  • Meriggiare pallido assorto

  • Spesso il male di vivere ho incontrato

  • Forse un mattino andando

Da “Le occasioni”:

  • Non recidere, forbice, quel volto

  • La casa dei doganieri

Da “La bufera e altro”

  • Piccolo testamento

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